Manuale Guida in Fuoristrada

Discussioni generiche sulla Guida 4x4
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Pubblicato su Mondo Fuoristrada per gentile concessione della New Explorer
Fotografie: Giorgio Rosato, archivio New Explorer, archivio Mondo Fuoristrada


Introduzione

La guida di un veicolo fuoristrada, pur non richiedendo accortezze e precauzioni particolari, non differisce sostanzialmente da quella di una normale autovettura.
Anche in questo caso è l’esperienza, abbinata a una grossa dose di buonsenso, a dettare le principali norme di comportamento.
Esistono tuttavia situazioni peculiari di guida (neve, fango, sabbia, guado, etc.) che proprio nel corso dell’utilizzo di un
veicolo a quattro ruote motrici possono a volte essere affrontate in condizioni esasperate. Sia in funzione delle particolari situazioni atmosferiche che per le singolari caratteristiche geo-climatiche presenti in una determinata area.
Lo scopo di questo volume è proprio quello di fornire un quadro esauriente e completo sulla guida in fuoristrada attraverso l’analisi delle varie tecniche da adottare lungo i più disparati tipi di percorso (sterrati, pendenze laterali, dossi, torrenti, etc.), senza trascurare inoltre quelle particolari situazioni nelle quali si rivela fondamentale l’adozione di alcuni importanti accessori (verricello, tirfor, piastre antisabbia,
etc.), a volte indispensabili per superare con disinvoltura alcuni ostacoli apparentemente insormontabili.


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ABC DELL’OFF-ROAD

Per una maggiore comprensione dei vari argomenti che verranno sviluppati nei diversi capitoli di questo libro, abbiamo ritenuto utile inserire all’inizio della trattazione alcuni
suggerimenti di carattere generale, allo scopo di fornire una sorta di “ABC dell’off-road” al cui interno vengono esposte le premesse indispensabili per affrontare la guida di un veicolo 4x4 in assoluta tranquillità e sicurezza.
Prima di esaminare le varie situazioni di guida va ricordato che ogni veicolo è sostanzialmente diverso da un altro, per cui anche le sue caratteristiche (dimensioni, peso, cilindrata, potenza) seppur allineate a un comune denominatore, richiedono tecniche e stili diversi.
Basandoci soprattutto sul parametro relativo alle dimensioni, possiamo individuare quattro tipologie di fuoristrada, suddividendoli schematicamente in altrettante categorie:
“piccole”, “medie”, “station wagon” e “pick-up”.

Nel primo gruppo sono compresi i veicoli di piccola cilindrata rappresentati sia dalle normali vetture 4x4 che dai mini-fuoristrada (soprattutto giapponesi); nel secondo sono raggruppati i tradizionali fuoristrada più diffusi sul mercato; nel terzo troviamo i modelli a passo lungo la cui lunghezza oltrepassa i quattro metri; nel quarto vengono classificati quei veicoli a trazione integrale che, in base alle loro caratteristiche, possono essere impiegati in svariate attività lavorative grazie all’ampia superficie di carico e al notevole spazio disponibile sul cassone posteriore.

Nell’ambito di ogni veicolo, inoltre, si rivela determinante ai fini dell’impostazione della tecnica di guida anche l’altezza minima da terra, valutata generalmente in prossimità del margine inferiore del differenziale; questo valore determina anche quella serie di parametri noti come “angolo di attacco”, “angolo di uscita” e “angolo di dosso”.
L’angolo di attacco è determinato dalla linea orizzontale del piano stradale e dalla tangenziale passante tra la ruota anteriore e il punto inferiore più sporgente dei veicolo; maggiore risulterà tale angolo, minori saranno le possibilità di toccare con la carrozzeria o il telaio nel corso di una ripida salita o nel superamento di un ostacolo.
L’angolo di uscita è determinato dalle stesse linee, riferite alla parte posteriore del veicolo, e presenta solitamente un valore minimo rispetto al precedente a causa della sporgenza del pianale di carico, ulteriormente esaltata nelle versioni pickup (spesso penalizzati da un cassone di notevoli dimensioni).

L’angolo di dosso, come è facile intuire, indica l’altezza massima di una prominenza che un fuoristrada è in grado di superare senza rimanere “sospeso” con il telaio sulla superficie convessa del terreno; in questo caso le ruote, dopo avere eroso il fondo della pista nel tentativo di far avanzare il mezzo, si ritrovano a girare a vuoto senza esercitare alcuna aderenza sul terreno. Chiarite le differenze peculiari sui vari tipi di veicoli, esaminiamo ora le principali regole che potremmo definire come “il codice di comportamento del fuoristradista”, in base al quale sarà agevolata la comprensione dei temi specifici inerenti le tecniche di guida che verranno esposti nei prossimi capitoli.

Il fattore sicurezza costituisce una componente essenziale ogni qualvolta ci si trovi alla guida di un veicolo fuoristrada, sia nel caso della tranquilla escursione domenicale, sia nel corso dei raid più impegnativi attraverso giungle e deserti africani. Fondamentale si rivela quindi attenersi ad alcune regole essenziali, rappresentate da una serie di controlli da effettuare sulla vettura, da una corretta posizione di guida e
dalla verifica del percorso.

I principali controlli da effettuare, banali ma fondamentali, riguardano la pressione dei pneumatici (compresa la ruota di scorta) e il livello dei lubrificanti e di tutti i serbatoi (freni, frizione e servosterzo) contenenti liquidi.
All’interno dell’abitacolo è invece opportuno fissare bene tutti quegli oggetti che potrebbero, con le sollecitazioni della marcia in fuoristrada, disperdersi per tutta la cabina se non perfettamente ancorati.
Per quanto riguarda la posizione di guida è necessario che il sedile abbia un’inclinazione contenuta, in maniera che la schiena risulti in posizione abbastanza eretta (condizione ritenuta ottimale per assorbire eventuali micro-traumi provocati dagli scossoni nei tratti più accidentati); altrettanto importante è l’impugnatura del volante che deve essere afferrato (senza mai incrociare le braccia) in maniera tale che i pollici vengano appoggiati sul bordo e non all’interno della corona per evitare, nel caso degli immancabili contraccolpi, eventuali danni alle dita.

La verifica del percorso si rivela di fondamentale importanza ai fini della sicurezza personale e della salvaguardia del veicolo. Prima di affrontare un passaggio impegnativo bisogna scendere dal veicolo e controllare da vicino i tratti più difficili, per valutare l’effettivo grado di difficoltà e per scegliere la rotta migliore per aggirare l’ostacolo o affrontarlo dalla migliore angolazione possibile. Una verifica obbligata se sul cofano è montata la ruota di scorta che, soprattutto nei percorsi in salita, ostacola sensibilmente la visibilità a breve raggio.

Da quanto esposto finora emerge chiaramente che il fattore determinante per affrontare nel migliore dei modi la guida in fuoristrada è rappresentato da una buona dose di prudenza le cui regole, oltre a presupporre una discreta conoscenza del proprio veicolo e una certa consapevolezza delle capacità di guida personali, sono riassumibili in tre punti principali che riguardano la velocità, il tipo di ostacolo e il
numero dei veicoli impegnati in un’escursione.
La velocità dev’essere sempre moderata, senza lasciarsi sedurre dal tentativo di emulare le imprese dei protagonisti dei rally-marathon, ma adeguatamente sostenuta per evitare di ritrovarsi impantanati in una pozza di fango o al centro di un guado.

Va sottolineato comunque che non esistono ostacoli che, a priori, possano essere considerati facili o difficili, ma ognuno di essi è sempre proporzionale alla propria esperienza e alla propria capacità di guida. La regola in questo caso è quella di evitare di strafare: anche l’abilità nella guida in fuoristrada, come in altre discipline, si acquisisce con la pratica e il tempo, per cui è necessario prendere confidenza gradatamente con il veicolo e con le più svariate condizioni di utilizzo, affrontando i percorsi più esasperati solo dopo aver acquisito una certa esperienza.

A tale proposito si rivela determinante anche il numero dei veicoli impegnati nel corso di un’escursione: evitare di avventurarsi da soli lungo percorsi impegnativi, soprattutto se affrontati per la prima volta, ma viaggiare sempre in convogli di 2-3 vetture, affidando il ruolo di apripista (e la lettura del road-book) all’equipaggio più esperto.


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LO STERRATO

Tra le prime esperienze che interessano la “carriera” di un fuoristradista, la guida sullo sterrato rappresenta senz’altro il primo impegnativo test nel quale ci si trova a misurarsi una volta entrato in possesso della tanto sospirata vettura. Torna subito alla mente infatti quella “stradina” di montagna nella quale ci si è avventurati tante volte in estate con la propria utilitaria e che puntualmente ci costringeva a tornare indietro proprio quando il percorso iniziava a farsi interessante; o quella pista quasi inaccessibile percorsa con il 4x4 di un amico, sulla quale l’emozione provata durante la marcia veniva solo in parte attenuata dalla consapevolezza di non trovarsi alla guida del veicolo.

Data la particolare conformazione orografica della nostra penisola, attraversata da catene montuose e da rilievi collinari estesi sulla maggior parte del territorio, la presenza di sterrati rappresenta inoltre una componente ambientale riscontrabile praticamente in ogni regione, grazie anche al tipo di economia prevalentemente rurale che ha sempre caratterizzato in passato il nostro Paese.
Lo sterrato inoltre costituisce spesso l’ideale “terreno di coltura” delle proprie cognizioni di guida off-road dalle quali, in base all’esperienza acquisita nel corso del tempo, scaturiranno le premesse per affrontare gradualmente le varie situazioni più impegnative e difficili.
Dal punto di vista prettamente tecnico, i parametri fondamentali da prendere in considerazione riguardano le condizioni del fondo (asciutto e bagnato), il tipo di variazione altimetrica (pianeggiante, salita e discesa) e l’eventuale presenza di “rotaie” sulla carreggiata.
Quando lo sterrato è caratterizzato da un fondo asciutto e regolare, con andamento prevalentemente pianeggiante, si tende generalmente a procedere con la semplice trazione sulle due ruote che, nella maggior parte dei casi, si rivela più che sufficiente per avanzare con ampi margini si sicurezza;
in presenza di fondo bagnato (precipitazioni molto intense possono dar luogo a insidiose pozze d fango) e di dislivelli molto accentuati (sia in salita che in discesa) è preferibile inserire la doppia trazione; quest’ultima evenienza, ai fini di una maggiore sicurezza, andrebbe adottata (soprattutto quando si percorre un itinerario sconosciuto) con largo anticipo, senza attendere che le difficoltà del percorso la impongano.
Ciò si rivela provvidenziale sia ai fini della sicurezza, migliorando notevolmente la stabilità del veicolo e la tenuta sullo sterrato, sia per far fronte ad eventuali ostacoli che potrebbero rallentare (ma anche arrestare il veicolo) rendendo problematica la ripresa della marcia alla normale andatura; anche l’uso delle marce ridotte consente di avanzare con un ritmo più fluido del motore, senza sforzare ulteriormente quegli organi meccanici (soprattutto il cambio e la frizione) già sottoposti a sollecitazione gravose quando il fondo è molto accidentato.
Soprattutto in presenza delle cosiddette “rotaie”, quegli enormi solchi formati generalmente dal transito di automezzi agricoli che scavano il terreno formando due ampi canali profondi a volte anche 20/30 centimetri.
Ogni qualvolta sia possibile, è consigliabile mantenersi sempre al di sopra di esse, evitando di procedere al loro interno, sia per evitare di toccare con i differenziali o con il fondo del veicolo nei solchi più profondi, sia per mantenere entro i limiti di sicurezza la direzionalità dello sterzo che, all’interno delle rotaie, tende a seguirne inevitabilmente il tracciato.
Particolare attenzione richiede infine anche la marcia sugli sterrati particolarmente polverosi nei quali, soprattutto viaggiando in convoglio, viene a crearsi quel fastidioso fenomeno noto come “effetto nebbia”. Alle spalle del veicolo apripista ci si ritrova praticamente immersi in una foschia pressoché impenetrabile (tanto più intensa quanto maggiore è il numero delle vetture impegnate) che riduce al minimo la visibilità.
Guidare in fuoristrada in queste situazioni può rivelarsi estremamente pericoloso poiché, oltre a non scorgere in tempo eventuali ostacoli presenti sulla carreggiata o ai lati della pista (rami sporgenti, mura perimetrali, piloni, cancelli di recinzione, etc.), non si riesce neanche a valutare con una buona approssimazione la distanza dal veicolo che si segue; in queste condizioni, viaggiando in gruppo, si corre spesso il
rischio di tamponare il veicolo che ci precede, soprattutto avanzando a velocità sostenuta nel tentativo di evitare di restare fuori dal convoglio.
È consigliabile in questi casi accendere sempre i retronebbia posteriori, che assicurano una migliore identificazione del veicolo anche all’interno di una nube di polvere, mentre se le auto sono equipaggiare di ricetrasmittente CB non occorre affannarsi in alcuna rincorsa e gli eventuali ostacoli presenti lungo il percorso possono essere segnalati via radio alle auto che seguono la vettura in testa al convoglio.


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NEVE E GHIACCIO

La presenza della neve in montagna costituisce per gli appassionati di fuoristrada un motivo di forte richiamo per effettuare qualche escursione tra boschi e sentieri innevati in attesa del prossimo viaggio tra i fiordi del nord Europa o tra le dune del Sahara.
La guida sulla neve, analogamente a quella sulle piste sabbiose, richiede un’estrema attenzione quando ci si avventura con un veicolo off-road poiché intervengono alcune differenze peculiari (come l’eccessiva pendenza laterale o il ghiaccio) che possono rendere alquanto difficile, e in alcuni casi assai pericolosa, la marcia. La prima regola da tenere presente nella guida in fuoristrada sulla neve riguarda la netta distinzione di due situazioni/tipo particolari, rappresentate dal fondo con neve battuta e dalla piste innevate immacolate sulle quali non c’è alcun impronta di pneumatico.

Il fondo con neve battuta è rappresentato da tutti quei sentieri o mulattiere di montagna nei quali già esistono precedenti tracce di veicoli che, seppur con le dovute cautele, facilitano sensibilmente l’avanzamento. In questo caso, inserendo la trazione integrale, si può procedere senza grosse difficoltà fino a pendenze di circa il 25/30%, a condizione che la neve non venga a frenare troppo la scocca sottostante del veicolo.
Per una migliore aderenza del mezzo è consigliabile diminuire leggermente (circa 1 atm.) la pressione dei pneumatici, assicurando così una maggiore superficie d’appoggio sulla neve, mentre per quanto riguarda l’andatura è buona norma avanzare sempre lungo le carreggiate esistenti. Ciò consentirà di procedere mantenendo una direzione ottimale e di ridurre il rischio di eventuali sbandate, sempre in agguato e
difficilmente controllabili sulla neve. È superfluo sottolineare inoltre che sui fondi nevosi vanno assolutamente evitate le brusche accelerate, le frenate improvvise e le sterzate violente; anche la velocità, sempre moderata, dev’essere mantenuta costante (può essere utile a tale scopo ricorrere all’acceleratore a mano), astenendosi da rapidi cambi di marcia che potrebbero esaltare, specie in discesa, l’effetto frenante del motore, rischiando di bloccare le ruote.

Nei casi estremi infine, quando ci si voglia avventurare lungo percorsi con tendenza superiore al 30%, è preferibile ricorrere all’adozione delle catene, da applicare naturalmente a tutte le ruote del veicolo. Nel secondo caso invece, quando il manto nevoso non è stato battuto da alcun veicolo, non vi sono particolari problemi fino a quando lo spessore della neve è contenuto entro i 20/30 cm. e l’unica precauzione da adottare in questo caso riguarda l’eccessivo accumulo di neve davanti al radiatore che, oltre un certo limite, può pregiudicare seriamente il raffreddamento del motore.
Per quanto riguarda lo spessore della neve è opportuno sottolineare che i moderni fuoristrada, soprattutto quei modelli nei quali ad un potente propulsore si abbina anche un’elevata altezza da terra, potrebbero in realtà avanzare senza difficoltà anche su strati nevosi più profondi; è prudente tuttavia mantenere sempre un certo margine di sicurezza in quanto il manto nevoso può facilmente nascondere insidiose buche o avvallamenti più o meno profondi per cui, in alcuni casi, ci si potrebbe ritrovare impantanati con il veicolo completamente bloccato nella neve.

Per una migliore navigazione sul manto nevoso non tracciato conviene sempre, quando è possibile, raccogliere alcuni dati preziosi che forniscano informazioni sull’ora dell’ultima nevicata, sulle condizioni di vento e, soprattutto, sui valori della temperatura presenti. Infatti se la temperatura, dopo la nevicata, è rimasta sotto lo zero la neve sarà ancora abbastanza dura e consistente, offrendo un buon grado di aderenza anche ai veicoli più pesanti. Se al contrario, dopo la nevicata, la temperatura è salita sopra lo zero lo strato superficiale del manto nevoso sarà molto sdrucciolevole e friabile, rendendo difficoltosa la marcia.
In quest’ultimo caso può avvenire inoltre che la temperatura, soprattutto nelle ore notturne o del tardo pomeriggio, torni nuovamente a valori inferiori allo zero, dando luogo alla formazione di pericolose lastre di ghiaccio, particolarmente estese nei punti in cui confluiscono le acque di scioglimento.

L’azione del vento durante la nevicata rischia di stravolgere completamente la naturale conformazione del terreno per cui buche o altri ostacoli saranno celati agli occhi del pilota, mentre l’assenza del vento durante la nevicata mantiene pressoché invariato il profilo del tracciato evitando il rischio di soste forzate. Un’ultima raccomandazione da tenere presente nella guida sulla neve, valida in entrambi i casi, è quella di
non scambiare (come fanno purtroppo in molti) il proprio fuoristrada per un gatto delle nevi allo scopo di evitare tutte quelle situazioni imbarazzanti le cui conseguenze potrebbero rivelarsi disastrose, sia in perdita di tempo che dal punto di vista economico.


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TRAINO OFF-ROAD

Fra tutti i veicoli impegnati nella guida al traino, il fuoristrada rappresenta indubbiamente il più versatile per disimpegnarsi con la massima disinvoltura su qualsiasi tipo di percorso. I punti a favore dell’abbinata 4x4+caravan sono costituiti, oltre che dai vantaggi legati alla trazione integrale, dalla generosa scorta di cavalli assicurata dalla maggior parte dei modelli, dalla coppia contenuta che consente di sfruttare al meglio la potenza del motore al minimo dei giri (condizione essenziale nel traino) e dalle dimensioni del fuoristrada (più vicine a quelle di una caravan) che rendono più compatto il convoglio garantendo una migliore penetrazione aerodinamica.

A far pendere ulteriormente l’ago della bilancia a favore del fuoristrada come trattrice ideale, va segnalata inoltre la possibilità di poter trainare qualsiasi tipo di rimorchio, senza alcun limite di peso e senza sottoporre il motore a sforzi particolarmente gravosi; oltre a viaggiare in assoluta tranquillità per quanto riguarda assetto e tenuta di strada.
Prima di affrontare le varie tematiche legate alla guida di un fuoristrada con la caravan al traino, è opportuno sottolineare l’importanza di sintonizzarsi su un’altra lunghezza d’onda che preveda una guida più sicura, sia nell’andatura (senza strattoni, frenate improvvise o brusche accelerazioni) che nel rispetto delle norme stradali.

Trainare una caravan, infatti, richiede molta attenzione e un’elevata dose di prudenza, requisiti essenziali per cavarsela al meglio in qualsiasi situazione.
La prima regola da adottare è quella di abituarsi al più presto nel guardare negli specchietti retrovisori supplementari montati appositamente per il traino, ignorando completamente quelli del veicolo (sui quali è riflessa la parete anteriore della caravan); gli specchietti, inoltre, contribuiscono anche a valutare con elevata approssimazione gli ingombri trasversali quando ci si immette in una strada particolarmente
stretta o in un passaggio obbligato ridotto dalla presenza di veicoli parcheggiati ai lati; se non toccano gli specchietti, si può stare tranquilli che anche la caravan passerà senza problemi.
Particolare attenzione con la caravan al traino richiedono le manovre dei sorpassi, la marcia in discesa e ad alta velocità, il modo di affrontare le curve e, naturalmente, la retromarcia.

La lunghezza di un convoglio caravanistico, indipendentemente dal tipo di fuoristrada e dal modello di caravan, si aggira mediamente intorno ai 10 metri per cui, nella fase di sorpasso, è di fondamentale importanza tenere sempre presente l’ingombro del rimorchio al seguito. Prima di rientrare nella propria corsia è opportuno quindi valutare che ci sia anche lo spazio sufficiente per la caravan, allo scopo di evitare un’eventuale collisione con l’automezzo sorpassato o per evitare di tagliargli bruscamente la strada.

Astenersi inoltre dal sorpassare veicoli la cui velocità sia di poco inferiore (10/15 km/h.) alla propria andatura di marcia poiché in questa situazione si riducono notevolmente i margini di sicurezza, senza contare il rischio che anche un lieve aumento della pendenza in salita rallenterebbe la velocità del convoglio abbassando ulteriormente, fino ad annullare, la distanza che lo separa dal veicolo da superare.
Nelle discese, soprattutto in quelle molto lunghe dove è facile aumentare la velocità senza rendersene conto in tempo, è consigliabile mantenere sempre un’andatura molto tranquilla, ricorrendo preferibilmente al freno motore per rallentare la marcia; è importantissima, comunque, che la caravan sia sempre in tiro poiché in caso contrario (quando è la macchina ad essere spinta) potrebbero verificarsi dei pericolosi scodinzolamenti che, se non controllati, possono rendere del tutto ingovernabile il convoglio. In questo caso è necessario, qualora non si avesse un margine di potenza del motore, passare immediatamente ad una marcia inferiore e accelerare con decisione per riallineare al più presto la caravan al fuoristrada.

Non meno insidiosa è la velocità, sebbene viaggiare con la caravan al traino non rappresenti una delle migliori situazioni per esibirsi in performance corsaiole con un 4x4.
Molti dei veicoli off-road oggi in produzione superano tranquillamente i 150 km/h. e sono in grado di raggiungere velocità notevoli anche con la caravan agganciata, ma è consigliabile tuttavia mantenersi sempre al di sotto dei 100 km/h. (l’ideale è intorno agli 80 km/h.); molta attenzione anche a non lasciarsi prendere troppo la mano, né ad esagerare nel sentirsi troppo sicuri (soprattutto quando si è alle prime armi nel caravanning) poiché gli errori di guida alle alte velocità, già insidiosi in condizioni normali, sono ulteriormente pericolosi quando al veicolo è agganciato un rimorchio.
Molta cautela richiede anche l’impostazione delle curve, che vanno sempre prese alla larga poiché la traiettoria disegnata dalla caravan descrive un arco molto più stretto rispetto a quello tracciato dal fuoristrada; questo particolare diviene fondamentale quando nell’angolo interno della curva si trova un edificio o altri veicoli parcheggiati che, in caso di un’errata valutazione dell’angolo di sterzata e delle distanze, potrebbero essere urtati con la zona anteriore della parete laterale della caravan situata sul lato della curva.

Ma è la retromarcia il vero tallone d’Achille per la maggior parte dei caravanisti poiché, diversamente da quanto accade con l’auto, la dinamica dei movimenti è diametralmente opposta a quelli eseguiti sul volante: ruotando infatti lo sterzo verso destra la caravan retrocede sul lato sinistro, mentre sterzando a sinistra si piega verso destra.
Entrambi i movimenti vanno dosati con molta cautela, sia per correggere in tempo eventuali errori che per evitare di ritrovarsi con la caravan perpendicolare alla macchina in condizioni di assoluta inamovibilità; superando l’angolo massimo raggiungibile tra i due veicoli, inoltre, si corre il rischio di contatto tra il fuoristrada e la caravan, nonché di danneggiare il giunto sferico del gancio di traino.
Particolare attenzione, infine, richiedono anche le manovre di entrata e uscita attraverso rampe molto inclinate (è facile toccare nel punto dove l’angolo è massimo) o il transito nelle stazioni di servizio, per non “agganciare” la colonnina di qualche distributore di carburante.

Per quanto riguarda i pesi delle caravan da agganciare al veicolo ricordiamo che nel caso dei 4x4 non esistono particolari condizionamenti derivanti dalla massa rimorchiata (fattore che penalizza fortemente il traino con una normale vettura) in quanto la maggior parte dei modelli attualmente in produzione si mantiene, tranne rare eccezioni, molto al di sotto delle capacità di traino di un 4x4. A parte infatti i fuoristrada di piccola cilindrata, che possono rimorchiare al massimo 700 Kg., la stragrande maggioranza dei modelli attualmente in produzione traina senza problemi pesi che oscillano attorno ai 1.600 Kg.; nel caso dei fuoristrada Nissan ricordiamo inoltre che la Terrano può trainare 2.800 Kg., la Patrol GR 3.500 e i pick-up Navara 2.200.

Da sottolineare infine l’importanza del peso complessivo risultante da quello del rimorchio e del fuoristrada, valore di fondamentale importanza la cui conoscenza si rivela indispensabile per evitare infrazioni al Codice Stradale. Con la normale patente B, infatti, si possono guidare veicoli la cui portata complessiva non sia superiore ai 35 ql., ma va precisato che tale limite si applica anche al peso totale del convoglio
auto+rimorchio; ciò vuol dire ad esempio che un rimorchio di 1.700 Kg. può essere trainato senza problemi da un veicolo il cui peso si mantenga entro i 1.600 Kg., ma se viene agganciato ad un fuoristrada di oltre 2.000 Kg. è necessaria la patente C.


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LE RIDOTTE

Tra i vari elementi meccanici di una vettura 4x4, una delle componenti più importanti a fini della marcia in fuoristrada è rappresentata senz’altro dal cambio e da quel particolare meccanismo, noto come riduttore, peculiare dei veicoli a trazione integrale. Com’è noto anche a chi non possiede un grosso bagaglio di cognizioni di meccanica, il cambio consente infatti di poter disporre di un’erogazione di potenza
che risulti sempre adeguata al tipo di percorso affrontato.
Addentrarsi nel complesso funzionamento dei meccanismi che regolano un normale cambio meccanico, oltre ad esulare dai compiti di questo libro, sarebbe troppo complesso e richiederebbe troppo spazio, per cui ci limiteremo in questa sede a spiegare per sommi capi i suoi movimenti.

Può risultare utile a tale scopo richiamare l’attenzione al più piccolo e semplice dei cambi, come quello che equipaggia le normali biciclette, formati da una serie di ruote dentate di diametro differente: a seconda che la catena sia inserita nel supporto di diametro maggiore, la pedalata risulterà più veloce; viceversa, l’utilizzo delle ruote dentate più piccole, consentirà di scaricare tutta la potenza in spazi molto più ridotti assicurando un rendimento ottimale in salita. Un funzionamento analogo regola anche la dinamica di un cambio automobilistico dove la selezione delle marce, affidata ai vari ingranaggi, consente al motore di garantire la stessa potenza anche a velocità inferiori.

Nel caso dei fuoristrada la funzione del cambio assume un ruolo fondamentale, non soltanto per le notevoli dimensioni e il peso del veicolo (entrambi superiori rispetto a quelli di una vettura normale), ma anche in funzione del suo particolare utilizzo; ciò si manifesta sia nel caso il 4x4 venga utilizzato in condizioni d’impiego molto gravose, che in alcune particolari situazioni come ad esempio quelle legate al traino di caravan o rimorchi particolarmente pesanti. In entrambi i casi i rapporti forniti da un cambio di tipo tradizionale non sarebbero sufficienti per disimpegnarsi con la massima disinvoltura in ogni occasione, neanche sottoponendo la frizione a sforzi gravosi nel caso di partenze da fermo in salita o su fondi a scarsa aderenza; né del resto avrebbe senso (per via dei problemi legati alle dimensioni e ai pesi) un cambio ultra-frazionato con i primi rapporti particolarmente ravvicinati. È a questo punto che entra in scena quel dispositivo caratteristico dei fuoristrada, noto come riduttore, che consente praticamente di raddoppiare le marce esistenti, assicurando lo stesso numero di rapporti che, una volta demoltiplicati, permettono di avanzare anche a velocità ridottissime con il motore che gira attorno a valori assai prossimi alla coppia massima.

In altre parole il riduttore è una sorta di cambio aggiuntivo che serve a ridurre i normali rapporti del cambio principale in tutte quelle occasioni, tipiche dell’off-road, nel corso delle quali è richiesta la massima potenza abbinata a velocità di avanzamento ridottissime, offrendo quindi un’ampia gamma di marce specifiche per la guida in fuoristrada.

Ma come avviene l’inserimento delle marce ridotte? E in quali situazioni di percorso si rivelano determinanti per avanzare in assoluta tranquillità?
Pur attenendosi ad una schema generale che presenta diverse analogie tra i diversi modelli, va sottolineato che ogni fuoristrada attualmente in produzione presenta uno schema personalizzato per quanto riguarda l’inserimento delle marce ridotte. Su modelli più datati esistono sul ponte di trasmissione due leve distinte: una per l’inserimento della trazione integrale (sui modelli sprovvisti di trazione integrale permanente) e una per l’innesco delle marce ridotte; sui 4x4 di più recente produzione è presente una sola leva per entrambe le funzioni.
Su alcuni fuoristrada, inoltre, l’inserimento delle marce ridotte (o della trazione integrale) deve avvenire a veicolo fermo, mentre su altri modelli si può effettuare l’operazione anche durante la marcia (a ridotta velocità s’intende).

Per quanto riguarda le condizioni di guida che richiedono l’uso delle marce ridotte, occorre fare una digressione preliminare che ci porta ad individuare due situazioni ben distinte tra loro: nella prima possiamo raggruppare quei casi nei quali le marce ridotte, pur non essendo indispensabili allo scopo di poter proseguire la marcia, si rivelano tuttavia fondamentali per avanzare senza sottoporre il veicolo a sollecitazioni meccaniche troppo intense, mentre nella seconda l’uso delle ridotte diventa un’esigenza obbligata.
Alcuni tra gli esempi più classici del primo caso sono rappresentati dalla marcia in salita (o in discesa) su sterrati abbastanza sconnessi, ma privi di solchi particolarmente profondi o di massi sporgenti; in questi casi il veicolo riesce a procedere anche con la sola trazione integrale, ma si è costretti ad usare troppo spesso la frizione (in salita) o i freni (in discesa), mentre inserendo le ridotte si può avanzare senza
problemi salvaguardando il veicolo da eventuali danni, ottenendo allo stesso tempo una maggiore tranquillità nella guida. Le marce migliori in queste situazioni sono rappresentate dalla terza e dalla quarta, mentre l’uso della seconda è riservato soprattutto nel caso di partenze in salita.

L’inserimento delle ridotte si rivela inoltre particolarmente utile quando il fuoristrada è impegnato nel traino di un rimorchio pesante (soprattutto nelle partenze da fermo sugli sterrati in salita a forte pendenza), o nell’attraversamento di guadi leggeri con fondo consistente, o ancora nei tratti fangosi pianeggianti di modesta profondità.

Passando alle situazioni più esasperate, l’uso delle ridotte si rivela invece indispensabile nelle salite (e nelle discese) molto ripide caratterizzate da un fondo a scarsa aderenza o con presenza di rocce e massi sporgenti; il loro uso consente di avanzare a velocità ridottissima, superando i vari ostacoli con la massima dolcezza e il motore sempre vicino alla coppia massima. In salita si può procedere tranquillamente in
seconda (raramente in terza), mentre in discesa l’uso della prima è consigliabile per mantenere sempre il controllo del veicolo; soprattutto quando ci si trova in su fondi resi sdrucciolevoli dalla presenza di acqua o dall’accumulo di foglie ed arbusti caduti dagli alberi.

Fondamentale infine si rivela l’uso delle marce ridotte in presenza di guadi impegnativi (con fondo in sassi sdrucciolevoli), nell’attraversamento di zone con fango profondo (pieno di solchi e tratti in salita) e sulla sabbia soffice, nonché in tutte quelle situazioni con fondi scivolosi frammisti ad erba quando si è costretti a ricorrere al fuoripista.


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COME MUOVERSI NEL FANGO

Una delle maggiori insidie dei mesi autunnali e invernali è rappresentata dalla presenza di fango, ritenuta dalla maggior parte dei fuoristradisti una delle componenti essenziali (di cui farebbero volentieri a meno) della maggior parte dei percorsi presenti sul nostro territorio. La particolare conformazione orografica che caratterizza l’arco alpino e la lunga dorsale appenninica, ricca di sensibili variazioni altimetriche e ampie zone costantemente in ombra, rende praticamente il fango una minaccia costante per i 4x4 anche nei periodi di siccità. Ma come si affronta un tratto fangoso a bordo di un fuoristrada? Qual’è la traiettoria migliore per cavarsela senza problemi in ogni situazione? E gli accessori più utili? Prima di entrare nel cuore del problema, è necessaria una piccola digressione in merito alla profondità e alla consistenza
dello strato fangoso.

Per quanto riguarda la profondità del fango, il parametro fondamentale è rappresentato dall’altezza minima da terra del veicolo, valore in base al quale viene definito poco profondo uno strato di fango la cui altezza risulti ad essa inferiore, mentre in caso contrario si parla di fango profondo.

In presenza di fango poco profondo, sotto il quale si trova generalmente uno strato di terreno duro e consistente, non vi sono particolari problemi e, una volta inserita la trazione integrale (ed eventualmente anche le ridotte), si procede a velocità moderata. Un’andatura troppo sostenuta, oltre a rivelarsi inadeguata ai fini dell’aderenza e della sicurezza in presenza di eventuali ostacoli (sassi, buche profonde, rami, etc.)
nascosti nel fango, può sollevare anche una vera e propria ondata di melma frammista a detriti di ogni genere; questi, una volta depositati sul radiatore potrebbero causare (in seguito all’evaporazione dell’acqua dovuta al calore) la formazione di uno strato di fango tra le griglie del radiatore stesso provocandone il surriscaldamento. Allo stesso rischio è esposta anche la ventola situata davanti al radiatore per cui, oltre a
contenere la velocità, è consigliabile tenere sempre sotto controllo il manometro dell’acqua per evitare danni alle guarnizioni della testata.

Quando invece il fango è abbastanza profondo, senza arrivare necessariamente a sfiorare il fondo del veicolo, è consigliabile adottare una guida abbastanza slanciata, prendendo se necessaria una breve rincorsa e mantenere una velocità la più uniforme possibile. Per migliorare le condizioni di aderenza si può ricorrere alla cosiddetta “remata”, rappresentata da un continuo zigzagare dello sterzo verso destra e verso sinistra, mentre un’ulteriore manovra di emergenza per tirarsi fuori da eventuali difficoltà può essere quella di accelerare e decelerare con brevi ma intensi colpi sull’acceleratore.

Questa tecnica, provocando una rapida rotazione delle ruote, contribuisce (grazie alla notevole forza centrifuga inferta sulla superficie dei pneumatici) a liberare i tasselli delle gomme agevolando la loro aderenza nel fango. Indipendentemente dalla profondità del fango è preferibile scegliere una marcia non troppo bassa (II o III ridotta) che, pur assicurando al motore di mantenere una certa coppia, eviti di far girare troppo velocemente le ruote che, a causa della diminuzione dell’aderenza, inizierebbero inesorabilmente a scavare bloccando completamente il veicolo.

A proposito delle gomme va sottolineato che, nonostante la presenza sul mercato di alcuni tipi di pneumatici studiati appositamente per un utilizzo in presenza di fango, il disegno del battistrada è praticamente irrilevante per quanto riguarda la motricità del veicolo. Il fango infatti tende a riempire, in brevissimo tempo, anche le tassellature più profonde rendendo la più artigliata delle gomme liscia e levigata come
quella di una formula uno.

Questa evenienza si verifica soprattutto in presenza di una elevata viscosità del fango poiché più il fango è denso, più difficile risulta la marcia; se il fango è meno consistente (cioè particolarmente frammisto ad acqua) i problemi di avanzamento sono meno accentuati e possono essere risolti con relativa facilità.
Viaggiando in convoglio, dev’essere assolutamente evitato di attraversare contemporaneamente un tratto fangoso con due vetture per non ritrovarsi impantanati in coppia, aumentando quindi le difficoltà per uscire dalla morsa del fango; caratteristica, in questi casi, è la formazione delle “rotaie”, cioè quei profondi solchi, peculiari in presenza di fango, al cui interno il veicolo perde praticamente qualsiasi prerogativa di
direzionalità. Più numerosi sono i veicoli che attraversano un tratto fangoso, maggiore è la profondità delle rotaie che tuttavia si rilevano utilissime ai fini della sicurezza quando, in presenza di forti inclinazioni laterali, contribuiscono ad ancorare saldamente il veicolo alla carreggiata.

Per quanto riguarda la traiettoria ottimale da seguire nell’attraversamento di un tratto fangoso, la rotta migliore (compatibilmente con le condizioni del percorso) è rappresentata da una traiettoria che risulti la più rettilinea possibile; al contrario un percorso curvilineo, seppur con lieve angolazione, può rallentare l’andatura diminuendo anche l’aderenza delle ruote nel terreno.
Un altro particolare importante per l’aderenza è rappresentato dalla possibilità di mantenere il veicolo in posizione orizzontale poiché, in caso di pendenza laterale, il peso (e di conseguenza la trazione) si trasferisce soprattutto sulle ruote a valle che sono sottoposte ad un maggiore attrito; le ruote a monte, a causa del minor carico, perdono molta aderenza e, soprattutto in presenza di fango, tendono a girare a vuoto.

Tra gli accessori più utili per affrontare il fango, le tradizionali catene da neve possono garantire risultati sorprendenti nelle maggior parte delle situazioni; è consigliabile inoltre montarle con una leggera tensione in maniera tale che, scuotendosi in seguito alle sollecitazioni della trazione, possano liberarsi del fango accumulato tra le maglie metalliche mantenendosi così sempre pulite. Altrettanto efficaci si rivelano
le piastre da fango (analoghe a quelle da sabbia), un robusto crick e una pala di generose dimensioni, oltre naturalmente alla presenza di un verricello; quest’ultimo risulta prezioso per disincagliarsi dal fango a condizione di avere un solido ancoraggio per il cavo di traino.

Anche nella guida su fondi fangosi, infine, come nella maggior parte delle situazioni legate alla pratica del fuoristrada, è fondamentale una preventiva ricognizione a piedi.
Questa precauzione, oltre a consentire una più attenta ed immediata valutazione del grado di difficoltà presente, consente di verificare anche la possibilità (una volta superato il tratto fangoso) di poter invertire la rotta in caso di un eventuale ostacolo insormontabile, evitando il ricorso ad estenuanti retromarce in condizioni estremamente precarie.


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IL GUADO

Croce e delizia della maggior parte dei fuoristradisti, il guado rappresenta indubbiamente una delle situazioni più affascinanti, ma anche più impegnative, legate alla guida di un veicolo a quattro ruote motrici. E non soltanto per i suoi aspetti spettacolari, che evocano spesso immagini di grande avventura (quasi sempre legate ai rally-marathon), ma anche per altri fattori; tra questi probabilmente c’è anche una sorta di atavica emozione legata al ritorno nell’ambiente liquido, milioni di anni fa capolinea di partenza di ogni essere vivente.

Naturalmente per poter impensierire un tantino i driver più consumati ed esperti (neanche loro tuttavia immuni dalla tentazione di esibirsi in disastrose bravate), è necessaria una certa profondità del guado, ben lontana da quella delle varie pozzanghere o dei torrentelli sparsi un po’ ovunque sulle mulattiere e gli sterrati di montagna. Fino ai 20/30 centimetri non vi sono particolari problemi e qualsiasi vettura riesce a disimpegnarsi senza grosse difficoltà, a condizione che il fondo sia abbastanza consistente e privo di eventuali depositi di melma o avvallamenti profondi.

Quando la profondità supera invece i 30/40 cm., fino ad arrivare a un massimo di 70/80, il guado inizia a diventare una cosa seria e le difficoltà presenti vanno analizzate con la massima scrupolosità possibile; anche se in teoria la profondità massima che in fuoristrada può attraversare risultasse più elevata (in base al valore riportato sul libretto di circolazione o, come nel caso dei veicoli a benzina, fosse legata all’altezza alla quale si trovano lo spinterogeno e il carburatore), non bisogna esagerare.

Il veicolo infatti può arrestarsi anche prima che l’altezza dell’acqua abbia raggiunto gli organi vitali dell’impianto elettrico, sia per la presenza di umidità che per eventuali infiltrazioni d’acqua.
Nel determinare la profondità di un guado anche la corrente dell’acqua svolge un ruolo non trascurabile poiché in presenza di acque calme, con fondi piani e consistenti, si può osare un tantino di più fino a sfiorare i limiti del veicolo; al contrario, se la corrente è piuttosto impetuosa (situazione che si accompagna spesso alla presenza di ciottoli sul fondo), può rivelarsi insidioso anche ritrovarsi immersi solo fino ai
mozzi. Per una migliore disamina della tecnica di guida da adottare in questi casi, possiamo suddividere schematicamente le manovre legate all’attraversamento di un guado, in quattro momenti principali rappresentati dalla fase di ricognizione, dalla fase di entrata, dalla fase di “navigazione” e dalla fase di uscita.

La fase di ricognizione, già importante in altre situazioni legate alla guida in 4x4, diviene determinante e di fondamentale attuazione nell’approssimarsi dell’attraversamento di un guado. Occorre naturalmente scendere dalla macchina ed esplorare a piedi il tratto di fiume o torrente da attraversare, servendosi di un’asta di fortuna o di un bastone per valutare attentamente la profondità dell’acqua, nonché le condizioni del fondo: attenzione alla presenza di massi, rocce appuntite, filo spinato o ghiaia.

Nella fase di entrata la velocità dev’essere dolce e moderata, per evitare che l’onda venutasi a creare davanti al radiatore possa innalzare il livello dell’acqua che, penetrando all’interno del cofano motore, potrebbe danneggiare l’impianto elettrico o infiltrarsi nel filtro di aspirazione dell’aria. Un’andatura troppo elevata nella fase di entrata, rallentando la penetrazione dell’acqua nelle parti basse del veicolo potrebbe
inoltre favorire il fenomeno di galleggiamento che, in presenza di forte corrente, renderebbe estremamente difficile mantenere la direzionalità del veicolo.

Un ulteriore fattore che impone una ridotta velocità nella fase di entrata è rappresentato dal rischio (troppo spesso sottovalutato) dello “shock termico”, conseguente alla rapida immersione in acqua fredda (o gelata, come spesso accade nei guadi d’alta quota) del motore, soprattutto quando è surriscaldato in seguito a lunghi tratti percorsi in condizioni particolarmente impegnative; può essere utile in questi casi
un’occhiata al termometro dell’acqua per avere un’idea precisa della situazione effettuando, se necessario, una breve sosta per raffreddare il motore prima di immergersi.
Particolarmente attenuata dev’essere anche la pendenza del punto di entrata poiché in presenza di un angolo molto ripido la ventola viene a trovarsi subito immersa nell’acqua, spruzzando acqua all’interno del vano motore prima ancora che il veicolo abbia assunto la posizione orizzontale.

Poiché la corrente può diminuire notevolmente l’aderenza nel corso del guado, occorre prestare particolare attenzione nella scelta del punto di entrata, evitando le anse più strette del fiume (dove la corrente è molto sostenuta) in favore dei tratti più ampi nei quali la corrente è più attenuata e anche la profondità dell’acqua risulta minore. Durante la fase di “navigazione” la marcia più adatta per avanzare senza problemi (una volta inserita la trazione 4x4) è la prima ridotta, soprattutto se il fondo da guadare è sufficientemente solido; questo rapporto assicurerà una forza motrice adeguata alla potenza richiesta, mentre al tempo stesso l’elevato regime di rotazione del motore faciliterà l’emissione dei gas di scarico dal tubo della marmitta (completamente immersa in acqua); a tale proposito va ricordato che in caso di sosta forzata, l’acqua potrebbe essere aspirata all’interno del tubo di scarico per cui non bisogna mai spegnere il motore, tenendolo inoltre sempre su di giri.

Durante questa fase, inoltre, l’impostazione di una corretta andatura in acqua è confermata dalla formazione della cosiddetta “onda di prua” rappresentata da un’onda regolare che, mantenendosi al disotto del cofano, respinge l’acqua in maniera uniforme lungo le fiancate del veicolo; oltre a creare un leggero risucchio che impedisce dal basso la penetrazione di acqua nel vano motore.
Nella fase di uscita invece la velocità dovrà essere abbastanza sostenuta e anche in questo caso, come nella fase di entrata, è necessario che la rampa di accesso non abbia angoli di attacco troppo accentuati; ad ogni tentativo di risalita infatti le difficoltà aumentano poiché la scarpata è più bagnata e sdrucciolevole per via dell’acqua trascinatavi sopra dal veicolo nei precedenti tentativi. Una volta usciti dal guado è
consigliabile lasciare per un po’ il motore acceso allo scopo di facilitare l’evaporazione dell’acqua dai punti più delicati, oltre ad asciugare i freni (quelli a tamburo impiegano più tempo) viaggiando per un breve tratto con il pedale del freno leggermente schiacciato.


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VIAGGIARE IN CONVOGLIO

Tra i molteplici aspetti legati alla pratica del fuoristrada uno dei più interessanti, tra quelli strettamente connessi alla vacanza e al tempo libero, è rappresentato senz’altro dalla
straordinaria forza di aggregazione che scaturisce tra gli appassionati dei 4x4 e che trova la sua massima espressione sia nei raduni e nei meeting organizzati dalla maggior parte dei club del settore che nella escursioni effettuate in compagnia di pochi amici.

In entrambi i casi può accadere infatti che diversi veicoli si trovino ad affrontare un determinato itinerario venendo a formare, soprattutto nel corso dei raduni, una lunga carovana a quattro ruote motrici che invade per giornate intere sentieri e mulattiere di montagna. Ma viaggiare in convoglio non è sempre così semplice come potrebbe sembrare e questo tipo di guida, pur non discostandosi dalle norme generali finora affrontate nelle pagine di questo libro, presenta tuttavia alcune peculiarità specifiche che meritano un’attenta valutazione.

E non solo ai fini della sicurezza personale, ma anche per il rispetto di quel senso civico la cui violazione (dovuta come al solito a pochi sconsiderati) discredita l’intera categoria, aumentando quel clima di emarginazione nel quale sono stati assai spesso relegati negli ultimi anni i possessori di veicoli a trazione integrale.

Ma quali si guida un fuoristrada quando si effettua una escursione in gruppo? Quali sono le maggiori difficoltà da affrontare? E gli inconvenienti più ricorrenti?
Viaggiando in convoglio il parametro fondamentale che condiziona praticamente tutte le norme di guida (e di comportamento) è rappresentato ovviamente dal numero di vetture che formano il gruppo, con un aumento delle difficoltà proporzionale all’incremento dei fuoristrada presenti.

Un convoglio ideale è costituito da 3 auto, formazione con la quale si può affrontare praticamente qualsiasi tipo di percorso, dai più difficili e impegnativi a quelli più semplici; in questo caso la vettura “pilota” si pone generalmente al centro del gruppo, in maniera tale che i contatti possano mantenersi a vista in ogni angolo del percorso e, in caso di difficoltà, gli equipaggi siano in grado di aiutarsi a vicenda senza grossi problemi.

Se il convoglio è più numeroso, dalle 5/6 macchine fino ad un massimo di 10/12, i problemi aumentano sensibilmente e diviene molto difficile mantenere il contatto (soprattutto nei tratti con numerosi tornanti o immersi in una vegetazione molto fitta); può rivelarsi utile in questo caso la presenza di una comune ricetrasmittente (CB) installata almeno sulle vetture che aprono e chiudono il convoglio. Meno affidabili a
tale proposito sono i telefoni cellulari (in questo caso i TACS sono più affidabili dei GSM) poiché, in alcuni casi, ci si può ritrovare in aree prive di segnale.

Se i convogli sono formati da decine di fuoristrada (in alcuni importanti raduni si possono arrivare anche a 50/60 macchine), è praticamente impossibile mantenere la carovana unita dall’inizio alla fine della traversata per cui ognuno dovrà cavarsela da solo, o aggregarsi ai vari gruppetti che solitamente si frazionano in queste occasioni. Provvidenziale in questo caso (oltre alla presenza del CB a bordo) si rivela la
consultazione di un accurato e preciso road-book distribuito a tutti i partecipanti. In tal modo chiunque può effettuare
senza particolari problemi il tragitto e, anche in caso di emergenza, i soccorsi possono essere allertati via radio; nei raduni organizzati c’è inoltre una specie di vettura “spazzatura”, analoga ai camion dei rally-marathon, che chiude la carovana proprio per rastrellare i partecipanti in difficoltà.

Nel caso di convogli particolarmente numerosi, inoltre, vi sono ulteriori problemi anche nella fase organizzativa di un raduno o di una semplice escursione tra amici; ciò è dovuto soprattutto alle maggiori difficoltà di transito in aree private o all’interno di zone naturalistiche protette: un proprietario di un terreno o la direzione di un parco naturale, spesso scarsamente disponibili nel concedere l’accesso anche ad una
sola vettura 4x4 nelle aree di loro competenza, mostreranno senz’altro una maggiore ritrosia nell’esaudire le richieste di un gruppo di fuoristradisti molto numeroso.

Può rivelarsi utile a tale proposito, soprattutto se lo svolgimento del percorso prevede una percorrenza estesa nell’intero arco della giornata, inserire lungo il tragitto alcuni tratti di collegamento in asfalto tra i vari sterrati e le mulattiere; ciò, oltre ad assicurare una migliore assistenza in caso di necessità, consentirà inoltre di ricompattare il gruppo con estrema facilità. Molta importanza nella guida in convoglio rivestono inoltre le dimensioni del veicolo e il transito in alcune particolari condizioni della pista rappresentate dagli sterrati polverosi, dal tratti ricoperti di fango e dall’attraversamento dei guadi.

Per quanto riguarda le dimensioni del veicolo, è di fondamentale importanza conoscere nei minimi particolari le difficoltà presenti lungo il percorso, soprattutto per quanto riguarda gli ingombri dei veicoli. Se vi sono passaggi particolarmente stretti, o insidiosi per la presenza di massi sporgenti e rocce affioranti, è inutile trascinarsi dietro un amico con un veicolo di grosse dimensioni.

Sugli sterrati polverosi uno degli inconvenienti che creano maggiore disagio quando si viaggia in convoglio, è legato proprio alla “nube” sollevata dai veicoli durante la marcia; già a partire dalla seconda o dalla terza posizione ci si ritrova con l’abitacolo completamente invaso dalla polvere penetrata attraverso i finestrini (o le bocchette di areazione), mentre i malcapitati che si trovano in coda al convoglio riescono
a stento a vedere ad un palmo dal naso.

È superfluo sottolineare l’importanza di moderare la velocità poiché c’è il rischio di tamponare violentemente un veicolo fermo o avvistato in ritardo (utile in questi casi l’accensione dei retronebbia).
Molta cautela richiede anche l’attraversamento di tratti fangosi, sia con andamento pianeggiante che in salita, poiché i ripetuti passaggi dei vari veicoli (incrementati nel numero se, come spesso accade, uno stesso veicolo è costretto a vari tentativi per superare un tratto particolarmente impegnativo) esercitano una continua erosione sul fondo; in tal modo viene praticamente asportato lo strato di fango più consistente e i veicoli che transitano nelle retrovie devono ricorrere in alcuni casi all’uso di un verricello o ad un cavo di traino per superare l’ostacolo.

Anche nell’attraversamento di un guado si verifica una situazione analoga, soprattutto quando il fondo (come accade solitamente nei fiumi e nei torrenti) è ghiaioso ed estrema mente sdrucciolevole.

In entrambi i casi è consigliabile lasciare transitare per primi, dopo la vettura apripista, quei veicoli le cui caratteristiche tecniche (come ad esempio una modesta scorta di cavalli o l’assenza di riduttore) o il tipo di allestimento (gomme con battistrada di tipo stradale o eccessivamente consumato), potrebbero creare alcune difficoltà rallentando l’andatura dell’intero convoglio.
Per quanto riguarda infine la scelta dei percorsi sui quali avventurarsi in convoglio, torna nuovamente in primo piano il numero dei fuoristrada presenti: negli itinerari particolarmente impegnativi, anche se relativamente brevi nell’estensione chilometrica, è consigliabile non oltrepassare la soglia delle 3/4 vetture, mentre in caso di convogli più numerosi conviene suddividere la carovana in piccoli gruppi, assegnando (se possibile) ad ogni formazione un fuoristrada equipaggiato con verricello e gancio di traino. Questa frammentazione si rivela di fondamentale importanza poiché i tempi di percorrenza, già notevolmente allungati nel fuoristrada quando si viaggia da soli, si dilatano enormemente viaggiando in convoglio richiedendo, in alcuni casi, diverse ore di marcia per poter avanzare di appena pochi chilometri.


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OCCHIO ALLE GOMME

Tra i vari fattori che condizionano la guida di un veicolo fuoristrada, uno dei più importanti, considerando l’estrema variabilità di utilizzo del mezzo, è rappresentato senz’altro dalle gomme.
Non è raro infatti che in occasione dell’attraversamento di un tratto particolarmente impegnativo per la presenza di sabbia, ghiaia o fango, il fuoristradista resti deluso dalle prestazioni del proprio veicolo, ritenuto ingiustamente poco affidabile in quanto a versatilità o capacità di disimpegno nelle più svariate situazioni.

Nella maggior parte dei casi però i limiti attribuiti alla vettura, indipendentemente dalla più o meno spiccata abilità del pilota, sono da addebitare prevalentemente ad una errata (o comunque inadeguata) gommatura adottata.

A tale proposito ci è parso utile inserire in questo libro alcune note relative proprio ad un corretto utilizzo dei pneumatici che, senza sconfinare nell’ambito delle varie tipologie di gomme disponibili (di chiara pertinenza dell’accessoristica), possono risultare comunque utili per approfondire o migliorare le proprie conoscenze di tecnica di guida. Qualsiasi tipo di pneumatico, infatti, dopo aver superato i
vari controlli qualitativi dell’azienda costruttrice, ed essere stato correttamente installato da un rivenditore specializzato, ha ancora bisogno (per esprimere al meglio il suo potenziale di resa, prestazioni e sicurezza) di alcuni controlli periodici e di una serie di piccole attenzioni.

Assai spesso però la maggior parte dei fuoristradisti tende a sottovalutare le gravose condizioni di utilizzo e le estreme sollecitazioni che il pneumatico realizzato per un 4x4 dev’essere in grado di sopportare. Di conseguenza, le prestazioni di un pneumatico sono semplicemente date per scontate in ogni situazione ambientale e d’impiego, mentre vengono spesso disattese le necessarie operazioni di manutenzione. Tra queste ultime, uno dei parametri fondamentali ai fini della sicurezza generale e della tenuta di strada è rappresentato dalla pressione dei pneumatici che, per una più corretta valutazione, va esaminata sia in funzione dell’impiego stradale che nell’utilizzo in fuoristrada.

In caso di marcia normale su percorsi asfaltati, i pneumatici devono essere sempre gonfiati alla pressione indicata sul libretto di uso e manutenzione del veicolo in quanto la maggiore insidia del pneumatico, e della tenuta di strada, è rappresentata proprio da una bassa pressione di gonfiaggio.

Un pneumatico sottogonfiato riduce le prestazioni del fuoristrada, si consuma assai più rapidamente e, soprattutto, genera un eccessivo calore alle alte velocità; in alcuni casi, inoltre, il calore può essere tale da superare la cosiddetta “temperatura critica” tollerata dal pneumatico, con conseguente possibile distacco di alcune sue componenti.

Nel caso il veicolo fosse molto carico, è preferibile anche superare leggermente (ca. 0.2 bar) il valore di pressione standard. In riferimento ai controlli da effettuare, occorre sottolineare che la pressione dev’essere verificata quando i pneumatici sono freddi, non dimenticando inoltre di controllare anche la ruota di scorta e la tenuta dei cappucci delle valvole.

Per quanto riguarda la pressione nell’impiego in fuoristrada va rilevato che il sottogonfiaggio, da evitare su strade asfaltate, soprattutto alle alta velocità, è invece consigliabile (con modalità variabili da caso a caso) per alcune specifiche e temporanee condizioni di guida. Queste sono riassumibili in quattro situazioni principali rappresentati dai percorsi accidentati, dal terreni cedevoli, dalla sabbia e dal fango e dalla
neve.

Nei percorsi accidentati, a causa degli urti abbastanza frequenti, sarà preferibile un leggero sottogonfiaggio (ca. il 10%), necessario per aumentare la superficie di contatto del pneumatico e migliorare la capacità di assorbimento degli urti della struttura. Nelle stesse condizioni di utilizzo un eventuale sovragonfiaggio, anche se di modesta entità, potrebbe invece favorire la rottura o il deterioramento del pneumatico; la sua struttura di rinforzo infatti, già sottoposta ad una notevole tensione dalla pressione interna, perderebbe la capacità di ulteriore deformazione elastica, divenendo quindi più vulnerabile agli urti.

Sui terreni cedevoli, a causa dell’affondamento del pneumatico che aumenta la resistenza all’avanzamento, una riduzione della pressione di gonfiaggio si traduce anche in una conseguente riduzione delle pressioni di contatto al suolo; ciò attenua sensibilmente l’affondamento del veicolo e migliora la capacità di trazione. Particolarmente indicati in questo caso sono i pneumatici radiali che, generalmente, consentono di scendere fino al 50% della pressione prevista, seppur per velocità molto basse (15/20 Km/h.) e percorrenze limitate.

Anche sulla sabbia riduzioni particolarmente accentuate della pressione di gonfiaggio, analoghe a quelle adottate sui terreni cedevoli, può determinare un incremento della capacità di trazione la cui entità (compresa tra il 25 e il 45%) varia in funzione del tipo di pneumatico. Sono sconsigliabili comunque ulteriori riduzioni della pressione poiché, valori al di sotto del 50% della normale pressione di esercizio, possono esitare in una ancor più accentuata diminuzione della capacità di trazione; inconveniente al quale può associarsi anche un affaticamento della struttura del pneumatico.

Sulla sabbia e sulla neve invece sono sconsigliabili riduzioni della pressione di gonfiaggio superiori al 30%. Uno dei limiti alla riduzione della pressione, infatti, è rappresentato dallo slittamento del pneumatico sul cerchio, rischio che aumenta con il miglioramento dell’aderenza. In funzione di questa considerazione va ricordato che la sabbia presenta generalmente caratteristiche di bassa aderenza e cedevolezza molto uniformi, mentre i terreni fangosi o innevati sono spesso caratterizzati da condizioni di compattazione, cedevolezza e aderenza scarsamente omogenee.

È opportuno quindi valutare con estrema attenzione sia la omogeneità che la capacità di aggrappamento offerte dallo strato di terreno sottostante, ai fini di ridurre la pressione di gonfiaggio ai valori più adeguati al tipo di terreno affrontato.
Da non trascurare inoltre anche gli effetti dovuti al bloccaggio di frenata, particolarmente gravi in quei fuoristrada in grado di raggiungere velocità’ superiori ai 150 Km/h.
Basti pensare infatti che frenando con le ruote completamente bloccate viaggiando ad una velocità di 120 Km/h, può verificarsi un’abrasione (dall’inizio della frenata fino al momento dell’arresto del veicolo) di almeno 4/5 mm nell’area di contatto. A tale proposito ricordiamo che la conduzione di calore nella gomma è piuttosto limitata per cui l’abrasione, che
si produce in condizioni di bloccaggio, genera elevate temperature localizzate prevalentemente alla zona di contatto.

L’elevata temperatura altera inoltre lo strato di gomma in caso di attrito contro il terreno, provocando la caratteristica fumata e le strie di gomma bruciata al suolo.
Ai fini della sicurezza va ricordato che un pneumatico che ha subito dei bloccaggi ad alta velocità, oltre ad avere un rotolamento non più uniforme, potrebbe presentare lesioni strutturali che ne consiglino la sostituzione.

Non bisogna dimenticare inoltre che una frenata a ruote bloccate, corrispondente ad uno slittamento del 100%, oltre ad essere dannosa per i pneumatici, è meno efficiente di una in cui si riesca a contenere lo slittamento poiché il bloccaggio diminuisce il coefficiente di attrito.
Nell’impiego in fuoristrada, infine, è da evitare anche il fenomeno del pattinamento, soprattutto quando si viaggia con le marce ridotte inserite.
In queste condizioni può accadere che il veicolo, in funzione della disponibilità di un'enorme coppia motrice alle ruote, rimanga fermo per insufficiente aderenza, soprattutto su terreni scivolosi in forte pendenza.
Insistere in prolungati pattinamenti a piena potenza in questo caso, con velocità praticamente nulla, può provocare lesioni alle gomme a causa del superamento della temperatura critica (provocata dalla trasformazione in calore della potenza motrice).


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PIOGGIA E NEBBIA

Tra i vari pericoli che insidiano gli appassionati dell’off-road, due tra i più temibili sono rappresentati senz’altro dalla pioggia e dalla nebbia che, diversamente dalla neve e dal ghiaccio, possono manifestarsi a qualsiasi latitudine e nelle più svariate condizioni climatiche.
Già fonte di numerosi problemi quando si è a bordo di una normale autovettura, la pioggia può creare ulteriori disagi al guidatore impegnato al volante di un veicolo 4x4.
Basti pensare ad esempio al fastidioso inconveniente dell’acquaplaning, rappresentato da quel fenomeno per cui un’auto lanciata a velocità sostenuta, in corrispondenza di un tratto stradale particolarmente bagnato, viene a trovarsi in una situazione estremamente precaria per quanto riguarda la tenuta di strada, come se “galleggiasse” a pelo d’acqua. Questa situazione, evidenziata da una nettissima sensazione di
instabilità sulle mani al volante, dev’essere corretta senza alcun intervento sul freno, ma semplicemente diminuendo la velocità togliendo il piede dall’acceleratore per alcuni istanti; nel caso la strada sia il leggera discesa è necessario, subito dopo aver ridotto l’andatura, passare ad una marcia inferiore affinché il veicolo fornisca sempre una motricità adeguata alle condizioni di aderenza.

Anche il tipo di pioggia impone una diversa valutazione nei parametri fondamentali ai fini della sicurezza nella guida poiché una precipitazione violenta può creare un enorme accumulo d’acqua nei tratti più pianeggianti, o la formazione di vere e proprie pozzanghere che, se attraversate a forte velocità, possono esercitare una sensibile azione frenante sulle ruote dell’auto; se la strada è molto trafficata inoltre si formano spesso, anche in caso di pioggia battente, due ampie scie sulla carreggiata (analoghe a quelle sulla neve) al cui interno la concentrazione di acqua presente è alquanto ridotta per cui è preferibile seguirne il tracciato per assicurare al veicolo una migliore aderenza al suolo.

Una pioggia debole al contrario, anche se persistente, causa meno problemi (soprattutto nei tratti pavimentati con il cosiddetto “asfalto poroso”, dotato di un’elevata capacità di assorbimento) e il vero fastidio arrecato in questo caso al conducente è provocato dalla difficoltà di tenere costantemente pulito il lunotto anteriore una volta esaurita la scorta d’acqua nel lavavetro; se la pioggia è molto scarsa, infatti, gli schizzi lanciati dalle altre autovetture, soprattutto se frammisti al sale (abbondantemente versato in inverno dai veicoli antineve) vengono sparsi dai tergicristalli su tutto il vetro riducendo notevolmente la visibilità; una rapida fermata nella più vicina area di sosta raggiungibile, risolve rapidamente il problema.

Particolare attenzione richiedono inoltre le manovre di sorpasso e la guida notturna. Nella fase di sorpasso bisogna prestare la massima attenzione per via della enorme quantità d’acqua sollevata dal mezzo che ci precede. Un tir di grosse dimensioni può arrivare ad avere anche 18 ruote e se piove molto forte la visibilità a volte è scarsissima per cui, in alcuni casi, gli stessi tergicristalli (anche azionati alla massima velocità) si rivelano inadeguati. Per quanto riguarda la guida notturna, va sottolineato che l’asfalto bagnato tende solitamente a ridurre la visibilità, per via dell’indebolimento del fascio luminoso dei fari che viene
in un certo senso “diluito” dall’acqua per cui sarebbe auspicabile l’installazione di un gruppo di proiettori supplementari (quasi sempre presente sui fuoristrada dei “maniaci” della personalizzazione).

Dal punto di vista della dotazione accessoristica, inoltre, occorre controllare frequentemente le condizioni dei due paraspruzzi posteriori (spesso semi-distrutti o trascinati via in alcune manovre di retromarcia quando si investe un terrapieno); la loro azione è preziosa per non imbrattare troppo i veicoli che seguono (soprattutto negli sterrati quando si viaggia in convoglio).

Altrettanto insidiosa è la nebbia che condiziona la visibilità in misura ancora maggiore rispetto alla pioggia. Risulta determinate in questi casi mantenere pulito il parabrezza, sia azionando il tergicristallo che il lavavetro; se necessario si può ricorrere anche all’accensione della ventola indirizzando il getto d’aria calda sul vetro.

Queste operazioni vanno ripetute frequentemente poiché lo strato impalpabile di umidità, che si deposita sul lunotto anteriore, riduce ancora di più la visibilità dando la sensazione che la nebbia sia aumentata.
Evitare di avvicinarsi al vetro anteriore nella speranza di vedere meglio; se il vetro è pulito non serve a nulla e si rischia soltanto di distogliere l’attenzione dalla strada poiché lo sguardo tende a concentrarsi sulla parte anteriore del cofano (o sulla ruota di scorta che, in alcuni modelli, vi è alloggiata sopra).

Guidando nella nebbia, soprattutto di notte, tutte le informazioni possibili sono utili per cui anche i rumori provenienti dall’esterno possono fornire preziose indicazioni sull’eventualità di un ostacolo in arrivo. È consigliabile spegnere (o abbassare al minimo) lo stereo e viaggiare, anche se fa freddo, con il finestrino leggermente aperto, oltre naturalmente ad avere sempre un preciso riferimento nel senso di
marcia (come il bordo della strada o le linee di tratteggio in autostrada).

Attenzione ad eventuali veicoli parcheggiati e privi di alcuna segnalazione luminosa, ricordandosi che in caso di nebbia (anche di giorno) è obbligatorio usare i fari anabbagglianti, mentre se la visibilità è inferiore ai 50 metri l’obbligo si estende anche al retronebbia posteriore. Astenersi nel modo più assoluto dall’usare i fari abbaglianti che, in questi casi, sono praticamente inutili poiché vengono ad illuminare proprio le zone più alte della carreggiata dove si concentra solitamente la maggior parte della nebbia.

Anche gli anabbagglianti, seppur in forma più attenuata, vengono ad illuminare una zona particolarmente ricca di nebbia. Sono proprio i fendinebbia, sia in virtù della loro posizione bassa che del raggio di luce emanato (largo e al filo dell’asfalto), a penetrare maggiormente la spessa coltre di nebbia.

Se il veicolo lo consente, è opportuno abbassare anche l’intensità luminosa del cruscotto (si hanno minori distrazioni visive), mentre in caso di eventuali situazioni di pericolo imminente si devono usare i due lampeggiatori di emergenza per avvisare gli automobilisti che seguono, ricorrendo energicamente anche al clacson se la situazione lo impone.


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CATENE: NON SOLO NEVE

Con il ritorno della bella stagione la presenza della neve potrebbe sembrare solo un lontano ricordo, ma per gli appassionati di off-road non è così. Soprattutto per coloro che si avventurano con proprio veicolo sui sentieri e le mulattiere disseminate lungo l’arco alpino dove, nella maggior parte dei casi, le ultime tracce delle nevicate invernali possono essere presenti anche fino al mese di luglio. Soprattutto a quote superiori ai 2.500 metri, dove la neve può persistere in maniera abbondante anche in pieno agosto. È evidente quindi che la presenza di catene a bordo del veicolo può risultare provvidenziale per cavarsela nella maggior parte delle situazioni.

E non solo in presenza di neve, ma anche sullo sterrato (quando ci si trova a dover affrontare ampie distese di fango) questo accessorio può rivelarsi prezioso per ripristinare una trazione irrimediabilmente compromessa.

Ma come si guida un fuoristrada con le catene? È preferibile montarle su tutte le ruote o solo sull’asse posteriore?
Ed oltre alle neve in quale situazioni sono consigliabili? Prima di affrontare questi argomenti ci sembra utile una digressione sul “prima”, riferita cioè a quell’attenta ed obiettiva valutazione di tutte quelle particolari situazioni ambientali le cui condizioni di sicurezza suggeriscano, o impongano, il ricorso al montaggio delle catene da neve.
È di fondamentale importanza infatti valutare con estrema attenzione il grado di difficoltà scaturito dal tipo di percorso che si sta affrontando, nonché intuire al volo gli eventuali rischi in agguato.
Naturalmente è scontato che un veicolo a trazione integrale si muova comunque sulla neve con una maggiore disinvoltura rispetto ad un’auto tradizionale, ma non bisogna mai esagerare; restare entro un buon margine di sicurezza è indispensabile per assicurare in ogni occasione le migliori condizioni di motricità al veicolo.

Come abbiamo avuto modo di ricordare nel capitolo dedicato alla guida sulla neve (le cui indicazioni restano comunque valide anche in questo caso), non vi sono particolari problemi fino a pendenze contenute entro il 25/30% e con un manto nevoso la cui profondità si mantenga attorno ai 20/30 cm.

Ma se l’altimetria accentua la pendenza, o la neve è più alta, il veicolo può iniziare ad avere dei problemi per avanzare anche in presenza di pneumatici speciali o particolarmente tassellati.
Analogamente a quanto avviene infatti in presenza di fango, anche in questo caso i tasselli dei pneumatici si riempiono ben presto di neve e, nel giro di pochissimi metri, le gomme possono risultare lisce come il vetro e con un’aderenza ridotta ai minimi termini.

I primi campanelli di allarme sono rappresentati dall’esigenza di un incremento di potenza (soprattutto avanzando in salita, è necessario ricorrere a marce ridotte sempre più basse) abbinata ad un’andatura abbastanza sostenuta, e da alcuni scodinzolamenti, particolarmente accentuati in presenza di tornanti. La vettura, anche procedendo lungo le tracce ben evidenti sulla pista, non riesce più ad avanzare in maniera
lineare e per mantenere la rotta si è costretti a volte a zigzagare continuamente con il volante.

Avanzare in queste condizioni, specialmente in presenza di forti pendenze laterali o di scarpate che si aprono su profondi strapiombi, può risultare eccessivamente pericoloso per cui si impone a questo punto il montaggio delle catene.

Operazione questa che, se possibile, non dovrebbe essere fatta all’ultimo momento, quando le condizioni di operabilità siano estremamente precarie o richiedano eventualmente il ricorso all’adozione di una binda, ma andrebbe effettuata su un tratto pianeggiante e sufficientemente largo da consentire anche un ampio margine di manovra nel caso si fosse costretti ad invertire la marcia.
Per quanto riguarda la tecnica di guida, le modalità non si discostano molto da quelle adottate nella guida sulla neve, riassumibili essenzialmente due punti fondamentali: in primo luogo occorre evitare manovre brusche, sia in fase di accelerazione che in frenata, mentre in secondo luogo è indispensabile mantenere un’andatura costante (la velocità di sicurezza in questo caso non deve superare i 50 Km/h.).

L’unico parametro che si diversifica nella guida con le catene, riguarda la pressione dei pneumatici che (diversamente a quanto accade sulla neve in assenza di catene) non dev’essere diminuita; disponendo inoltre di una pompa elettrica a 12 V è consigliabile incrementare leggermente la pressione (1 atm.) per assicurare una migliore presa alle catene.

Un quesito importante che si pone in questo caso è rappresentato da quante catene montare poiché su un veicolo 4x4, diversamente da quanto avviene su un’auto normale, la trazione è comunque (sia essa permanente o inseribile) integrale. La soluzione migliore sarebbe ovviamente quella di poter disporre di due coppie di catene in maniera tale da montarle su tutte e quattro le ruote, ma problemi tecnici e di spazio,
nonché di ordine economico (un solo paio di catene per un fuoristrada costa mediamente attorno alle 300 mila lire), limitano praticamente la disponibilità a una sola coppia.

La scelta obbligata riguarda naturalmente l’asse posteriore che, sulla maggior parte dei modelli, è quello sul quale il motore scarica la maggiore coppia; questa soluzione si rivela particolarmente utile nella marcia in salita, ma nei casi in cui è richiesta una notevole potenza e si affonda sull’acceleratore, l’avantreno tende a perdere leggermente aderenza e anche la direzionalità può essere sensibilmente penalizzata. Per ottimizzare l’utilizzo delle catene è buona norma, dopo aver percorso alcune centinaia di metri, fermarsi e serrare ulteriormente le maglie che (in fase di assestamento attorno ai pneumatici) potrebbero disporsi in maniera non omogenea rispetto alla superficie del battistrada.

Avanzando con le catene, le ruote posteriori scavano la superficie della neve fin quasi ad arrivare a mordere il terreno sottostante, mentre si il manto nevoso è molto spesso e gli strati più profondi sono ghiacciati, è lo stesso ghiaccio ad offrire un valido ancoraggio alle ruote.

Nel caso ci si dovesse trovare a percorrere dei tratti in discesa a pendenza molto elevata, è consigliabile fermarsi e spostare le catene dalle ruote posteriori a quelle anteriori; questo accorgimento, oltre a rivelarsi fondamentale per mantenersi sempre entro il perimetro della carreggiata, assicura anche un maggiore margine di sicurezza in caso di frenata (da evitare sulla neve quando non si montano le catene).

Montando le catene su tutte e quattro le ruote il veicolo teoricamente riesce a superare qualsiasi tipo di difficoltà e anche l’eventualità delle “spanciate” è ridotta al minimo; l’unico limite è rappresentato (soprattutto nella marcia in salita) dall’accumulo di neve davanti al muso della macchina che, non avendo il cuneo in dotazione agli spartineve, può creare una vera e propria barriera sul radiatore arrivando persino a pregiudicare il sistema di raffreddamento.

Lontano dalle distese innevate, le catene si rivelano utili anche in presenza di fango e, in alcuni casi, su alcuni particolari tipi di sterrato. In queste situazioni è superfluo sottolineare che l’utilizzo delle catene è limitato esclusivamente all’attraversamento di tratti molto ridotti, il cui superamento risulti praticamente impossibile in condizioni normali; guidando infatti con le catene su terreni sterrati, aumentando la velocità il veicolo perde progressivamente aderenza mentre, se il fondo è molto duro le sollecitazioni meccaniche sono notevoli e le catene possono anche spezzarsi. Del tutto inutili risultano invece nella guida nel deserto poiché, venendo a scavare la sabbia, provocherebbero un rapido affossamento della vettura che rimarrebbe inesorabilmente bloccata.

Un ultimo dato, particolarmente importante ai fini della sicurezza, riguarda infine lo spazio di frenata su superfici ghiacciate. Accurati test di laboratorio hanno dimostrato che con l’adozione di pneumatici da neve lo spazio di frenata (rispetto a quello registrato con normali pneumatici per fondi asciutti) si contrae di appena il 10%, mentre con il montaggio delle catene questo spazio si riduce del 50%.


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GUIDARE SULLA SABBIA

Tra le varie situazioni che costituiscono gli scenari naturali che vedono protagonista i fuoristrada, una delle più affascinanti è rappresentato senz’altro dalla sabbia.
Alzi la mano chi, tra i driver a trazione integrale, non ha sognato almeno una volta di avventurarsi tra le sconfinate distese del Sahara. O non ha subito il fascino evocato dalle immagini di viaggi avventurosi effettuati attraverso i deserti dell’Asia, dell’Australia o dell’America Latina.

Fascino ulteriormente esaltato, soprattutto negli ultimi anni, dal successo di alcune manifestazioni agonistiche legate agli sport a motore sulle piste sahariane, come la chiacchierata Parigi-Dakar o il Rally dei Faraoni.
La guida sulla sabbia, analoga per alcuni aspetti a quella sul fango e ai terreni cedevoli in genere, richiede una serie di precauzioni indispensabili da adottare per poter avanzare
con una certa tranquillità, nonché di alcuni accessori per trarsi d’impaccio nelle situazioni d’emergenza.

Prima di esaminare in dettaglio i vari argomenti è doverosa tuttavia una breve digressione sulla consistenza assunta dalla sabbia che, in funzione della variabilità delle condizioni atmosferiche e della sua composizione, può essere durissima come l’asfalto o finissima e impalpabile come il borotalco (fech-fech). La consistenza assume un ruolo fondamentale nel sostentamento della vettura per cui è bene abituarsi a distinguere già a vista le varie differenze esistenti tra i vari banchi di una distesa sabbiosa o di una duna.

Per i piloti più consumati, abituali frequentatori di piste sahariane e chott maghrebini, può a volte essere sufficiente già un’occhiata per stabilire la consistenza della sabbia: solitamente i tratti più solidi, in grado di sostenere adeguatamente anche un veicolo di notevoli dimensioni, presentano una superficie più lucida (oltre ad avere una granulazione più marcata) rispetto alla sabbia fine.
Analogamente a quanto avviene con la neve in montagna, anche nel caso della sabbia inoltre va rilevato che la sua consistenza è maggiore sui dossi e in corrispondenza delle superfici sommitali dei rilievi; in queste zone infatti il vento svolge una costante azione di “pulizia”, spingendo a valle gli strati più superficiali di sabbia soffice (che si accumula soprattutto nelle conche e negli avvallamenti), favorendo la permanenza degli strati profondi più solidi e resistenti.

Nel caso dell’attraversamento di conche sabbiose è richiesta un’ulteriore dose di prudenza poiché, essendo la maggior parte delle vie d’uscita in salita, rimanere intrappolati nella sabbia soffice può costituire un’insidia particolarmente temibile. Soprattutto in considerazione del fatto che, aumentando l’inclinazione del terreno, si incrementa progressivamente anche il carico sull’assale posteriore; questa situazione viene a sommarsi al notevole sforzo cui sono sottoposti i pneumatici posteriori per spingere la macchina in salita che, nel tentativo di “mordere” la sabbia, finiscono spesso per scavare la superficie della duna fino a causare l’arresto del veicolo per insabbiamento.

In questo caso è necessaria una semplice manovra di retromarcia e si esce senza problemi dalla morsa della sabbia, mentre in discesa le difficoltà sono decisamente minori (anche in caso di forte pendenza), ma una volta attraversato un determinato tratto è praticamente impossibile tornare indietro seguendo lo stesso tragitto.

È importante inoltre affrontare i tratti caratterizzati da dislivelli molto accentuati sempre ad un’andatura abbastanza sostenuta in maniera tale il veicolo riesca ad avanzare soprattutto in funzione della sua energia cinetica; in questo modo lo sforzo esercitato dalle ruote è assai più contenuto e le gomme non si ritrovano a scavare la sabbia.
Premesso che anche sulla sabbia, come in molte altre situazioni legate ai fondi con scarsa aderenza, è preferibile adottare una guida abbastanza tranquilla, priva di brusche accelerate, frenate improvvise e violente sterzate, il parametro fondamentale è rappresentato dalla velocità di galleggiamento.

Questo termine esprime in pratica l’andatura necessaria a mantenere quella particolare situazione dinamica grazie alla quale il veicolo viene a comportarsi come fosse un hovercraft, galleggiando quasi sulla sabbia; per raggiungere (e mantenere) un’ottimale velocità di galleggiamento è indispensabile che vengano rispettate alcune condizioni essenziali legate sia alle caratteristiche intrinseche del veicolo (peso, velocità e potenza del motore) che alla sezione dei pneumatici (i più adatti alla guida sulla sabbia sono quelli a sezione allargata, sgonfiati anche fino al 50% rispetto ai valori normali).

Particolare attenzione richiede anche la partenza da fermo, per via della tendenza delle ruote a scavare, e la marcia migliore in questo caso è rappresentata dalla seconda o dalla terza ridotta, evitando nel modo più assoluto di far slittare le ruote o la frizione.
Una volta in marcia, occorre mantenere una velocità costante e la più possibile adeguata alla potenza del motore e alla massa complessiva del veicolo, evitando sia inutili cambi i marcia che sterzate improvvise; queste ultime, infatti, si ripercuotono negativamente sia sulle ruote anteriori, che agiscono da freno, sia su quelle posteriori che (sottoposte ad uno sforzo maggiore per far avanzare il veicolo) tendono ad
esaltare l’azione scavante sulla sabbia. Accelerando ulteriormente, le ruote possono sprofondare fino agli assali causando l’arresto immediato del veicolo.

La tattica migliore per avanzare in assoluta tranquillità, oltre a mantenere un’andatura la più costante possibile, (nonché adeguata alla velocità di galleggiamento) è rappresentata dal massimo sfruttamento delle condizioni dello strato più superficiale della sabbia; questo risulta estremamente mutevole in base alle condizioni ambientali di umidità e temperatura, per cui vanno evitate le ore più calde e assolate,
mettendosi in marcia nelle prime ore della giornata quando l’umidità della notte o il sole, non ancora alto, rendono più consistente il terreno; una condizione analoga si verifica anche nel tardo pomeriggio quando la sabbia, raffreddandosi, acquista una consistenza maggiore e offre un miglior ancoraggio a qualsiasi tipo di pneumatici.

Tra i fattori ambientali inoltre, non dev’essere trascurata l’azione del vento che, soprattutto lungo le piste sahariane, può spuntare da un momento all’altro dando luogo alle temibili tempeste di sabbia, durante le quali conviene arrestarsi con il motore collocato nella stessa direzione del vento. Ciò impedisce alla sabbia di infiltrarsi tra le delicate strutture del motore che, seppur adeguatamente protette, sono assai vulnerabili all’azione corrosiva dei granelli di sabbia; può rivelarsi utile in questi casi l’adozione di uno speciale filtro d’aria a secco con scarico ad alta turbolenza o, in alternativa, spalmare di grasso il lato interno della superficie metallica che racchiude il filtro (i granelli i sabbia, trascinati dal vortice d’aria attorno al filtro, si depositeranno sullo strato di grasso evitando di finire nel carburatore).

Inoltre in una giornata ventosa non bisogna assolutamente mettersi in marcia nella direzione in cui soffia il vento per non correre il rischio di bruciare la guarnizione della testata a causa dello scarso raffreddamento del motore.
Da non sottovalutare inoltre anche la presenza dei solchi presenti lungo le piste sabbiose, formati generalmente dal passaggio di veicoli pesanti (rappresentati soprattutto dai camion) che attraversano le principali direttrici africane.

Se possibile è preferibile viaggiare in fuoripista, astenendosi soprattutto dall’avanzare a ridosso della gobba centrale; si evita così il rischio di cadere all’interno dei solchi o di spanciare dopo aver strisciato ripetutamente con il fondo della macchina, ritrovandosi con le ruote sospese nel vuoto.

Tra gli accessori più utili per le situazioni d’emergenza, non possono mancare a bordo dei veicolo le tradizionali piastre antisabbia in acciaio zincato perforato (o in allumino), utilizzate nelle operazioni belliche nel deserto fin dall’epoca del secondo conflitto mondiale.
Prima di posizionare la piastre sotto le ruote è consigliabile scavare delle mini rampe di accesso per agevolare le ruote a salire sulla superficie metallica, assicurandosi inoltre che il fondo del veicolo sia completamente libero dalla sabbia. Una volta raggiunto un tratto con una buona consistenza, dove ci si possa fermare senza il rischio di bloccarsi, si può procedere al recupero delle piastre; a tale proposito è consigliabile segnalare sempre la loro presenza sulla pista (i ripetuti tentativi di sbloccare il veicolo potrebbe averle quasi interamente ricoperte di sabbia) oltre a premunirsi con un paio di guanti da lavoro per maneggiarle senza ustionarsi le mani (il metallo diventa rovente sotto alcune ore di esposizione sotto il sole del deserto).

In alternativa alle piastre perforate si possono utilizzare anche le scalette (decisamente più agevoli nel trasporto) o le stuoie antisabbia (più economiche ma meno affidabili); nei casi estremi, non disponendo di alcun tipo di accessori, si può ricorrere a rami, sassi, ai tappetini dell’auto o alla ruota di scorta.
Per un buon margine di sicurezza, oltre alle piastre metalliche, non dovrebbero mai mancare a bordo (soprattutto in caso di raid molto impegnativi) una robusta pala, una binda in grado di assicurare un’ampia escursione e una pompa a 12 V munita di manometro per ripristinare la pressione dei pneumatici; sui veicoli provvisti di verricello, infine, può rivelarsi utile un’ancora da sabbia in grado di assicurare un valido
punto di aggancio anche in assenza di alberi o massi.


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GUIDARE LUNGO I SOLCHI

Tra le varie problematiche legate alla guida in fuoristrada vi sono alcune particolari situazioni scaturite dalla conformazione ambientale che, seppur con alcune lievi sfumature, possono ritrovarsi nelle più disparate condizioni di utilizzo di una 4x4 (sterrato, fango, pietraia, etc.).
Tra gli elementi nei quali ci si imbatte con ricorrente frequenza, soprattutto lungo le mulattiere dell’arco alpino o alle pendici della dorsale appenninica, uno dei più temibili per i driver a trazione integrale è rappresentato senz’altro dai solchi disseminati lungo la pista.
La presenza dei solchi può rilevarsi inoltre particolarmente insidiosa anche per l’eventualità di danni arrecati al veicolo, soprattutto nelle fiancate laterali e negli angoli di attacco e uscita, per cui il loro attraversamento richiede una serie di precauzioni alle quali è bene attenersi sia viaggiando da soli che al seguito di un convoglio.
Prima di entrare nel merito della questione, è opportuno una breve digressione per meglio mettere a fuoco i vari tipi di solchi presenti lungo i percorsi. La prima distinzione fondamentale da fare è quella della classificazione dei solchi in due tipi principali: trasversali e longitudinali.

Nel primo caso il solco attraversa la pista in senso perpendicolare rispetto a quello di marcia, mentre nel secondo caso sono praticamente allineati alla carreggiata e ne seguono l’andamento; i solchi longitudinali, inoltre, possono suddividersi ulteriormente in solchi paralleli e solchi unici.
I solchi trasversali (nella maggior parte dei casi sono isolati) sono formati soprattutto dal passaggio sulla carreggiata di piccoli corsi d’acqua; questi, alimentati dalle acque di disgelo (frequenti nella tarda primavera), o dall’accumulo idrico che si verifica in seguito ad intense precipitazioni, possono incidere in maniera profonda il terreno.
I solchi longitudinali paralleli, abbastanza frequenti sugli sterrati ricoperti di ghiaia (o comunque con fondo morbido e piuttosto friabile) sono formati dai ripetuti passaggi dei veicoli che, rimuovendo lo strato più superficiale dello sterrato, hanno provocato due solchi la cui profondità aumenta progressivamente in funzione del passaggio (e del peso) dei veicoli transitati.
Soprattutto in alcune zone rurali dove, in seguito alla circolazione di trattori e macchine agricole, ci si può imbattere in solchi longitudinali molto profondi che, in alcuni casi, possono dar luogo anche alla formazione dei famigerati “binari” che rappresentano uno dei rischi maggiori (e pericolosi) quando si è alle prime armi.

I solchi unici, noti anche come solchi a “V”, si riscontrano soprattutto lungo le mulattiere e i sentieri di alta montagna, dove le condizioni ambientali sono caratterizzate da frequenti e violenti acquazzoni; la continua erosione esercitata dall’acqua provoca in questo caso una vera e propria voragine nella parte centrale della pista che, nei casi limite, può arrivare ad una profondità superiore ad un metro.
Esaurita l’analisi dei vari tipi di solchi, vediamo quali sono le modalità più idonee di guida per affrontarli, oltre ad esaminare alcuni interventi pratici da adottare e l’eventuale utilizzo di accessori utili (o indispensabili) per cavarsela al meglio nella maggior parte delle situazioni.
Nell’attraversamento di un solco trasversale, analogamente a quanto avviene nel superamento di un fossato, il veicolo deve essere posto in posizione obliqua (ca. 45°) rispetto alla linea tracciata dal solco. In pratica occorre individuare il miglior angolo di approccio possibile e ed impostare la traiettoria affinché le ruote dei veicolo entrino una alla volta all’interno del solco, in maniera tale da lasciare fuori le altre tre.

Entrando nel solco in posizione frontale, con le due ruote anteriori perpendicolari alla depressione scavata nel terreno, si corre il rischio di cadere con le ruote anteriori all’interno del solco, rimanendo completamente bloccati sia in fase di avanzamento che nelle manovre di retromarcia (situazione ulteriormente aggravata se il telaio, o altre parti della carrozzeria, vengono a toccare con il fondo del terreno).
Per quanto riguarda i solchi longitudinali paralleli è necessario distinguere sue situazioni-tipo fondamentali, rappresentate dagli sterrati con buona aderenza e dalle piste il cui fondo è ricoperto da uno strato più o meno profondo di fango.
Nel primo caso la marcia all’interno dei solchi (la cui profondità è in genere contenuta) può risultare più agevole in quanto lo strato superficiale, ripulito dalla ghiaia e dal pietrisco in al centro di essa nel caso si intenda procedere “a cavallo” del solco.
Quest’ultimo tipo di andatura si rivela invece efficace nel caso della marcia lungo solchi fangosi, o comunque particolarmente profondi e impegnativi, e richiede una tecnica abbastanza semplice che non implica un’eccessiva perizia.
È sufficiente allineare il veicolo ai solchi longitudinali ponendo due ruote dello stesso lato (la scelta varia ovviamente in funzione degli spazi disponibili ai lati della carreggiata) sul dosso centrale che separa i due solchi e quelle controlaterali sulla parte opposta all’esterno di uno dei due solchi.
Questa tecnica, seppur apparentemente semplice nella sua attuazione, richiede tuttavia grande attenzione poiché l’estrema variabilità dell’ampiezza dei solchi rende altrettanto mutevole la larghezza dello strato di terreno presente tra i solchi; nel caso lo spazio disponibile si riducesse oltre il limite di sicurezza può accadere, a causa del peso del veicolo o di un’elevata friabilità del fondo, che il terreno ceda e il veicolo sprofondi inevitabilmente all’interno di uno dei due solchi.

O peggio ancora venga trascinato all’interno di entrambi i solchi, “spanciando” con il fondo sul dosso centrale. Questa situazione è abbastanza frequente quando la pista è ricoperta di fango e può verificarsi soprattutto in presenza di una forte pendenza (sia in salita che in discesa).

Se non c’è alcuna possibilità di procedere a cavallo dei solchi, o il fondo sdrucciolevole riporta sempre le ruote al loro interno, non rimane che rassegnarsi ad avanzare lungo i solchi stessi. I rischi maggiori si incontrano viaggiando in convoglio poiché il ripetuto passaggio di molti veicoli nello stesso punto tenderà a scavare solchi sempre più profondi; in breve tempo, anche quello che sembrava un passaggio poco impegnativo può trasformarsi in un tratto estremamente complesso e difficile da superare.

La macchina in queste condizioni è praticamente ingovernabile per quanto riguarda la direzionalità e avanza come se fosse su dei binari: le ruote sono completamente ricoperte di fango e non serve a niente sterzare violentemente nel tentativo di uscire dai solchi fangosi. Questa manovra inoltre dev’essere completamente evitata, sia perché è del tutto inutile ai fini di abbandonare il tracciato dei solchi e sia per il fatto che il veicolo, una volta uscito dai solchi o tornato su un fondo con maggiore aderenza, potrebbe subire brusche e repentine deviazioni trovandosi con le ruote completamente sterzate su uno dei due lati.
Nel caso dei solchi a “V” invece il superamento dei tratti più difficili avviene solitamente ponendo le ruote dei veicolo su entrambe le pareti laterali del solco, in maniera da evitare (o ridurre al minimo) l’inclinazione laterale del veicolo. È necessario, oltre a procedere con una certa cautela, evitare di salire troppo su uno dei due lati del solco, per impedire che il veicolo si ritrovi intrappolato contro una parete dell’avvallamento, limitando inoltre al minimo i movimenti bruschi sullo sterzo; questa manovra, infatti, oltre al rischio di far scivolare (e bloccare) l’auto contro la scarpata, espone anche al pericolo di urtare la fiancata contro eventuali ostacoli come ad esempio un albero o una parete rocciosa.

È fondamentale inoltre, prima di affrontare passaggi del genere, accertarsi che vi sia a monte la possibilità di poter avanzare ulteriormente una volta superato il solco o, in alternativa, che si sia almeno lo spazio sufficiente per poter invertire la marcia. A tale proposito ricordiamo che anche nel caso dei solchi, come in altre situazioni di guida offroad, risulta fondamentale un sopralluogo a piedi per ispezionare i
punti più difficili del percorso.

Tra gli interventi pratici da adottare per agevolare il transito in presenza dei solchi può rivelarsi utile, soprattutto quando il veicolo dovesse trovarsi bloccato o comunque in condizioni precarie, riempire i solchi con dei sassi o con altri materiali di fortuna (arbusti, rami, pezzi di legno, etc.). Questo accorgimento può essere efficace anche in caso di twist, che non è il mitico ballo degli anni Sessanta, né un ostacolo naturale dovuto alla conformazione del territorio. Il twist rappresenta invece quella particolare situazione nella quale, prima o poi, ogni fuoristradista è costretto ad imbattersi quando è impegnato nella guida su fondi particolarmente accidentati e in presenza di solchi. Si tratta in pratica della singolare posizione che viene ad assumere il veicolo quando si ritrova “sospeso” in aria con due ruote diagonalmente opposte completamente staccate dal suolo.

Questa condizione può instaurarsi sia attraversando trasversalmente un solco molto profondo sia, nel corso di un tragitto abbastanza rettilineo, oltrepassando una progressione continua di dossi elevati e buche accentuate. Nel twist le ruote rimaste a terra risultano praticamente senza alcuna trazione, poiché i differenziali tendono a trasferire la potenza sulle ruote nelle quali è diminuita l’aderenza, e il veicolo si ritrova bloccato. È opportuno quindi affrontare questi tratti con un minimo di velocità per oltrepassare la zona soggetta al rischio di twist; nel caso si dovesse tuttavia rimanere appollaiati sulle ruote, e neanche l’apposizione di massi all’interno dei solchi riesce a risolvere la situazione, non rimane che farsi trainare da un secondo veicolo (nessun problema ovviamente per i 4x4 equipaggiati con il blocco totale dei differenziali).

Tra gli accessori che possono rivelarsi utili per affrontare nel migliore dei modi i tratti interessati dalla presenza di solchi, può risultare provvidenziale inserire tra le dotazioni di bordo un verricello e una serie di robuste corde di traino abbinate ad un argano manuale; per sollevare il veicolo infine, oltre ad una binda, una delle soluzioni più pratiche è rappresentata dal pallone pneumatico (tipo air-jack) che consente di alzare il veicolo in meno di un minuto su qualsiasi tipo di terreno (fango, sabbia, neve, ghiaia, etc.) inserendo il tubo di gonfiaggio nel tubo di scarico.


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GUIDARE A VISTA

Tra le varie informazioni che un aspirante driver a trazione integrale dovrebbe conoscere, dopo aver appreso i rudimenti fondamentali della tecnica di guida, un ruolo tutt’altro che trascurabile spetta indubbiamente alle nozioni relative all’orientamento. Come ben sanno infatti gli appassionati della navigazione nel deserto, la perfetta padronanza dell’uso della bussola e della lettura delle carte geografiche può a volte risultare fondamentale ai fini della buona riuscita di un viaggio-avventura o di una spedizione transahariana.

Ma a volte può capitare di ritrovarsi a “navigare” fuoripista anche su alcuni percorsi dell’arco alpino o lungo le mulattiere disseminate a ridosso della catena appenninica, specialmente quando si percorrono zone di alta montagna o sentieri poco battuti, lungo i quali persino i muli più coraggiosi degli alpini si rifiuterebbero di andare.
Soprattutto in quest’ultimo caso, infatti, la scarsa circolazione di veicoli accelera sensibilmente lo sviluppo della vegetazione che, abbinato alle prolungate precipitazioni accumulate nella stagione invernale, viene a fagocitare ampi tratti di pista; all’improvviso ci si ritrova senza alcun punto di riferimento e riuscire ad avanzare (anche senza i rischi di solito in agguato tra le dune del deserto o all’interno di una giungla tropicale) può rivelarsi abbastanza problematico, soprattutto quando si attraversano zone poco note o mai percorse in precedenza.

L’esempio più classico è rappresentato dalla pista che scompare in prossimità di una radura erbosa, situata sulla sommità di un rilievo collinare o su un’ampia sella all’imbocco di una vallata; le tracce scompaiono progressivamente nell’erba (attorno agli 800/1.000 metri di quota) e, nell’arco di poche decine di metri, non si ha più alcuna scia da seguire. In altre situazioni le tracce della pista possono sparire a causa
dell’erba alta (evenienza molto frequente in tarda primavera e in estate), o perdersi all’interno del bosco tra cumuli di foglie e sterpaglia, o interrompersi bruscamente in prossimità di un corso d’acqua.
Cosa si deve fare in questi casi per andare avanti? E come riuscire a proseguire quando le stesse indicazioni fornite dal road-book, per le mutate condizioni ambientali, non sono più attendibili?

La prima cosa da fare, dovendo navigare a vista, è ovviamente quella di alzare il più possibile lo sguardo per cercare di scoprire in lontananza eventuali tracce di pista riconducibili a quella che si sta percorrendo, o la presenza di altre strade alternative. È consigliabile salire su tetto dell’auto e scrutare attentamente l’orizzonte con un binocolo o mediante il teleobiettivo montato sulla macchina fotografica.

Anche un sopralluogo a piedi, effettuato all’interno di un angolo di 90 gradi lungo la traiettoria passante per il centro del cofano dell’auto, può rivelarsi utile per stabilire da che parte andare. Con l’ispezione a piedi, inoltre, si evita di invadere zone prative o aree coltivate e, una volta rinvenute nuovamente le tracce della pista, si può scegliere il percorso migliore sconfinando il meno possibile fuoripista.

In altri casi può rivelarsi utile anche seguire per brevi tratti il corso di un torrente, a patto naturalmente che la profondità dell’acqua sia contenuta entro i limiti di guado del proprio veicolo e che la presenza di massi ed altri ostacoli lungo il greto sia tale da non compromettere la sicurezza di marcia, né insidiare la salvaguardia degli organi meccanici più esposti. In montagna infatti i torrenti intersecano spesso il tracciato di piste e mulattiere per cui è probabile che, prima o poi, si riesca a trovare qualche via da seguire.

Nella navigazione a vista possono inoltre fornire preziose indicazioni per l’orientamento sia la posizione del sole che la presenza di un altimetro (strumento che non dovrebbe mai mancare tra le dotazioni di sicurezza a bordo del veicolo).
Va precisato comunque che la valutazione della posizione del sole può rivelarsi utile nell’evenienza che si conosca molto bene la zona che si attraversa, oltre ad avere bene in mente la visione topografica dei principali agglomerati urbani presenti nei dintorni. Facendo riferimento infatti all’ultimo centro abitato attraversato, o comunque avvicinato, e conoscendo la posizione (o l’ubicazione approssimativa) di quello successivo, ci si può riferire proprio alla posizione del sole; e in base all’ora della giornata, scegliere la direzione ritenuta come la più indicata da seguire, a patto naturalmente che le condizioni meteorologiche non siano caratterizzate dalla presenza di nuvolosità intensa e persistente.

Per determinare l’angolazione della rotta è possibile utilizzare come bussola anche un comune orologio da polso. Il procedimento, estremamente semplice e pratico, è sostanzialmente riassumibile in due fasi principali: si posiziona l’orologio in maniera tale che la lancetta delle ore sia puntata nella direzione del sole, facendo molta attenzione nel tenere ben fermo l’orologio, dopodiché si calcola all’istante la direzione
del nord, risultante dalla linea ottenuta idealmente sul quadrante congiungendo il centro dell’orologio con l’ora corrispondente alla metà di quella segnata dalla lancetta delle ore; per effettuare questo calcolo va tenuto presente che le ore si contano da 0 a 24 per cui alle 10.00 del mattino la direzione Nord corrisponde alla linea che passa dal centro verso le 5 (10:2=5), mentre nel pomeriggio alle 16.00 il Nord passa
sulla linea delle 8.00 ( 16.00:2=8 ).

Questo metodo, pur essendo alquanto approssimativo e suscettibile di un certo margine di errore, ha il grosso vantaggio di poter essere applicato in qualsiasi momento della giornata e (in mancanza di strumenti più sofisticati) assicura un orientamento di massima che, nel nostro caso, può fornire un valido aiuto.
Per quanto riguarda invece l’altimetro, la sua presenza è fondamentale per segnalare l’andamento altimetrico della zona che si sta attraversando nel caso le variazioni di quota fossero poco accentuate, o comunque non valutabili ad occhio nudo. Se ad esempio le tracce della pista si perdono dopo aver superato il passo più elevato presente lungo l’itinerario, o una cresta in prossimità della quale inizia la discesa a fondovalle, risulta evidente che nel caso l’altimetro segnali un ulteriore incremento di quota, si sta procedendo nella direzione sbagliata.

Nel caso i vari tentativi effettuati dovessero rivelarsi vani, e il sospetto di essersi smarriti diventa qualcosa in più di una sensazione, non rimane che tornare indietro fino ad un punto di riferimento preciso e facilmente riconoscibile, tenendo sempre d’occhio i dati del road-book per evitare di allontanarsi ulteriormente. Si può inoltre seguire a ritroso il road-book fino alla prima deviazione e, avendo un po’ di tempo a disposizione, avventurarsi in un’altra direzione; registrando l’intero tragitto effettuato (completo di chilometraggi parziali e totale) si potrà inoltre ampliare sensibilmente anche l’itinerario originale, ottenendo informazioni utili per chiunque volesse ripetere il percorso nella stessa zona.


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